È da ritenersi legittimo l’operato di un’agenzia investigativa, munita di licenza, che accerti le cause dell’assenza del dipendente dal proprio domicilio nelle fasce orarie di reperibilità durante la malattia.

Questo è quanto affermato dalla Corte di Appello di Roma che ha rigettato il ricorso all’impugnativa del licenziamento per giusta causa di un dipendente.

Impugnata la decisione, la Corte di Cassazione, con sentenza n. 35023 del 14 dicembre 2023, ha dichiarato il ricorso inammissibile perché presentato oltre i termini di legge.

1. Il controllo del datore di lavoro tramite investigatore privati

Il datore di lavoro ha piena facoltà di prendere conoscenza di comportamenti del dipendente che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, rilevano sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro potrebbe avvalersi di agenzie investigative al fine di accertare comportamenti extralavorativi attinenti al corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro.

Le disposizioni dell’art. 5 della L. n. 300/1970 non precludono infatti al datore di lavoro di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare ad esempio l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza del dipendente.

Ad esempio è stato ritenuto legittimo il controllo eseguito dal datore di lavoro a mezzo di investigatori privati nel caso di un dipendente, assente per una dichiarata patologia di lombosciatalgia acuta (accertata dal medico dell’INPS), sorpreso a eseguire lavori sul tetto e nel cortile della propria abitazione (Cass., n. 18507/2016).

In un altro caso affrontato, la Corte di Cassazione ha ritenuto legittimo il licenziamento di un lavoratore di una compagnia assicurativa, all’esito di un’indagine investigativa nella quale era stato accertato, in un arco temporale di dieci giorni, non solo il mancato rispetto dell’orario di lavoro ma anche l’impegno del lavoratore, al di fuori dell’ufficio e durante l’orario lavorativo, in attività estranee alla sfera professionale (Cass., n. 8373/2018).

2. Gli ultimi chiarimenti sul tema

Nel caso di specie un’azienda attivava un procedimento disciplinare nei confronti di un lavoratore mediante il quale, in seguito a dei controlli a campione esperiti da un’agenzia investigativa, veniva contestato allo stesso:

  • il ripetuto allontanamento dal proprio domicilio durante le fasce orarie in cui è previsto lo svolgimento delle visite fiscali durante la malattia;
  • l’adozione, durante le giornate di assenza per malattia, di uno stile di vita in cui il dipendente si era normalmente dedicato alle incombenze personali, con particolare riguardo alla gestione di un pub in cui era stato visto in numerose occasioni accedendovi dall’ingresso dedicato ai dipendenti (tale comportamento secondo i giudici di appello non era idoneo a favorire il pronto e pieno recupero dalla morbilità);
  • lo svolgimento di attività di gestione di tale attività commerciale anche fino a tarda notte, in orari inconciliabili con l’orario di lavoro in azienda;
  • di aver avviato un’attività lavorativa privata senza aver chiesto né tantomeno ricevuto dall’azienda apposita autorizzazione, come prescritto dal Codice Etico di Gruppo.

La Corte d’Appello riteneva legittima l’attività investigativa svolta dall’agenzia in quanto richiesta non al fine di verificare le modalità di adempimento dell’obbligazione lavorativa da parte del dipendente bensì le cause dell’assenza dal domicilio nelle fasce orarie di reperibilità durante la malattia.

La Corte riteneva inoltre che l’attività di gestione del pub, svolta per diverse ore al giorno e fino a tarda notte, fosse tale da esporre a pericolo la ripresa della prestazione lavorativa del dipendente e quindi tale da configurare una violazione disciplinarmente rilevante.

Avverso tale sentenza il lavoratore proponeva ricorso per Cassazione; la controricorrente eccepiva l’inammissibilità per tardività del ricorso sul presupposto che, contrariamente a quanto riferito dal ricorrente, la sentenza era stata comunicata dalla Cancelleria della Corte d’Appello di Roma.

Tale eccezione è fondata in quanto la Corte ricorda che “Il ricorso per cassazione contro la sentenza deve essere proposto, a pena di decadenza, entro sessanta giorni dalla comunicazione della stessa, o dalla notificazione se anteriore”.

3. Conclusioni

La pronuncia in commento è conforme all’indirizzo ormai consolidato in giurisprudenza circa le attività consentite al lavoratore durante la malattia (cfr. Cass., n. 12994/2023, n. 26709/2021) e le possibilità e limiti per il datore di lavoro di eseguire controlli a mezzo di investigatori privati.

Lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, oltre nell’ipotesi in cui tale attività sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la stessa, da valutarsi con giudizio ex ante in relazione al tipo di patologia e mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio (come nel caso di specie).

In linea generale tra le condizioni che possono legittimare il controllo eseguito a mezzo di investigatori privati rientrano le seguenti:

  • il controllo non può avere ad oggetto il mero adempimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente ma l’accertamento ad esempio di eventuali condotte illecite tali da incidere sul patrimonio aziendale o integrare fattispecie criminose;
  • il controllo deve svolgersi con modalità tali da non ledere la libertà e la dignità del lavoratore;
  • l’attività di investigazione deve rivestire carattere occasionale e non sistematico e dovrebbe risultare indispensabile e non sostituibile con altro mezzo meno invasivo a disposizione del datore.

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