Costituisce discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto previsto per il lavoratore non disabile al lavoratore con disabilità.
La mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo dello stesso periodo di comporto in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione di particolare svantaggio.
Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 170 del 7 gennaio 2025.
1. La vicenda processuale
La Corte d’Appello di Torino, in riforma della pronuncia di primo grado, respingeva la domanda di impugnazione del licenziamento per superamento del periodo di comporto intimato a un lavoratore in condizione di disabilità, non condividendo l’assunto del tribunale secondo cui l’applicazione del medesimo periodo di comporto ai lavoratori non disabili e a quelli con disabilità costituisse discriminazione indiretta.
2. Applicazione dell’ordinario periodo di comporto ai lavoratori disabili
La Corte di Cassazione evidenzia che la pronuncia di secondo grado non è conforme all’orientamento formatosi negli ultimi due anni in tema (cfr. Cass., n. 24052/2024, n. 9095/2023).
Costituisce, infatti, discriminazione indiretta l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto previsto per il lavoratore non disabile al lavoratore con disabilità.
La mancata considerazione dei rischi di maggiore morbilità dei lavoratori disabili, proprio in conseguenza della disabilità, trasmuta il criterio, apparentemente neutro, del computo dello stesso periodo di comporto in una prassi discriminatoria nei confronti del particolare gruppo sociale protetto in quanto in posizione particolare svantaggio.
La conoscenza dello stato di disabilità del lavoratore, o la possibilità per il datore di lavoro di conoscerlo usando l’ordinaria diligenza, fa sorgere in capo a quest’ultimo l’onere di acquisire, prima di procedere al recesso, informazioni circa l’eventuale connessione delle assenze per malattia con lo stato di disabilità del dipendente, al fine di individuare possibili accomodamenti ragionevoli ex art. 3, comma 3- bis D.Lgs n. 216/2003 idonei ad evitare il licenziamento.
Prosegue la Corte: “in particolare, si è sostenuta l’esigenza che la contrattazione collettiva, in modo esplicito, disciplini la questione del comporto per i lavoratori disabili avendo riguardo alla condizione soggettiva, non risultando di per sé sufficiente il rilievo dato alle ipotesi di assenze determinate da particolari patologie o connotate da una certa gravità”.
Nel caso di specie, la società era a conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore e aveva, tuttavia, adottato il licenziamento senza acquisire informazioni circa la correlazione delle assenze per malattia con lo stato di disabilità, di modo da individuare possibili accorgimenti ragionevoli per evitare il recesso.
Sulla base di questi motivi veniva cassata la sentenza della Corte d’Appello.
3. Conclusioni
La Corte di Cassazione con la pronuncia in commento ribadisce un indirizzo ormai consolidato, vale a dire l’applicazione dell’ordinario periodo di comporto previsto per il lavoratore non disabile al lavoratore con disabilità realizza una discriminazione indiretta, in quanto il lavoratore disabile è soggetto a un maggior rischio di accumulare giornate di assenza per malattia e, pertanto, di superare il periodo di conservazione del posto.
Di conseguenza, il datore di lavoro avrà l’obbligo di adottare ragionevoli accomodamenti per evitare disparità di trattamento del lavoratore con disabilità, vale a dire “il ragionevole accomodamento organizzativo che, senza comportare oneri finanziari sproporzionati, sia idoneo a contemperare, in nome dei principi di solidarietà sociale, buona fede e correttezza, l’interesse del disabile al mantenimento di un lavoro confacente alla sua condizione psico-fisica con quello del datore a garantirsi una prestazione lavorativa utile all’impresa”(Cass., n. 605/2025, dove è stato giudicato come accomodamento ragionevole la concessione dello smart working al lavoratore con disabilità).
Nonostante il principio ribadito sia chiaro, diverse sono le problematiche connesse alla sua applicazione.
In primo luogo, l’azienda potrebbe non essere a conoscenza della condizione di disabilità del lavoratore (basti pensare che i certificati di malattia non riportano la patologia sofferta dal lavoratore).
In secondo luogo, quali sono concretamente gli accorgimenti ragionevoli che un datore di lavoro potrebbe attuare?
Potrebbe concedere un periodo di comporto più lungo per il soggetto con disabilità oppure non computare le assenze collegate alla condizione del lavoratore nel calcolo del periodo di conservazione del posto.
È auspicabile, dunque, che i contratti collettivi incomincino a disciplinare il tema del periodo di comporto dei lavoratori con disabilità, di modo da dipanare le diverse criticità che tuttora permangono.