È illegittimo il licenziamento per superamento del comporto intimato al lavoratore per essere rimasto assente per malattia per 391 giorni da considerarsi continuativi, c.d. “comporto secco” (conteggiando in tale periodo anche l’assenza per infortunio del dipendente), se il CCNL applicato prevede espressamente di escludere i giorni di assenza dovuti ad infortunio sul lavoro dal computo del comporto per sommatoria.

Dal punto di vista logico, non sarebbe in alcun modo ragionevole una disciplina contrattuale, come intesa dalla Corte di merito, che escludesse il rilievo delle assenze per infortuni e malattie professionali solo dal computo del comporto per sommatoria e non dal calcolo del comporto secco.

In linea generale, l’assenza dovuta ad infortunio sul lavoro si conteggia nel comporto salvo che sussista una responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., ovvero nel caso in cui il CCNL applicato disponga diversamente, come avvenuto nel caso di specie.

Questo il principio espresso dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 21242 del 30 luglio 2024.

1. Il caso

Un lavoratore veniva licenziato per superamento del periodo di conservazione del posto per essere rimasto assente per malattia per 391 giorni, da considerare continuativi perché intervallati da periodi di ripresa del servizio inferiori a 30 giorni, conteggiando nel comporto anche l’assenza per infortunio in itinere di due mesi del dipendente.

Secondo la Corte territoriale, in base a quanto previsto dall’art. 50, comma 6 del CCNL, i giorni di assenza dovuti ad infortunio sul lavoro andavano esclusi solamente dal comporto per sommatoria e non dal comporto secco del caso di specie.

Il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione.

2. Computabilità delle assenze per infortunio e malattia professionale

Le assenze del lavoratore dovute ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale in linea di principio sono computabili nel periodo di conservazione del posto tranne nei casi in cui:

  • sussista una responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c. (l’infortunio e la malattia non solo devono aver avuto origine in fattori di nocività presenti nell’ambiente di lavoro, ma è necessario che il datore di lavoro sia responsabile di tale situazione);
  • il CCNL applicato escluda dal computo delle assenze quelle dovute a infortuni sul lavoro e malattie professionali (in forza del principio di non porre a carico del lavoratore le conseguenze del pregiudizio da lui subito a causa dell’attività lavorativa espletata).

La Corte di Cassazione riprende le norme del CCNL che vengono in rilievo nel caso di specie:

  • l’art. 41 prevede un termine massimo di conservazione del posto di lavoro in caso di assenze per malattie protrattesi fino a 12 mesi (comporto secco, comprensivo di malattie con intervalli non superiori a trenta giorni) oppure 24 mesi nell’arco di 48 mesi consecutivi (comporto per sommatoria);
  • l’art. 50, per l’ipotesi di assenze dovute a infortunio sul lavoro o malattia professionale, prevede che il lavoratore abbia diritto alla conservazione del posto, fermo restando quanto previsto al comma 6 (lo stesso prevede che in caso di assenza dovuta ad infortuni sul lavoro o a malattia professionale, i primi sedici mesi non sono considerati utili ai fini del computo per sommatoria).

Dall’interpretazione delle norme si desume che le assenze causate da infortuni o malattie professionali non vadano mai computate ai fini del comporto cd. secco.

Il sesto comma, al fine di contenere l’obbligo dell’azienda di conservazione del posto del lavoratore che ha contratto un infortunio sul lavoro o una malattia professionale, introduce un limite nelle assenze dopo i primi 16 mesi, che saranno computabili unicamente ai fini del comporto per sommatoria (riferito a una pluralità di episodi morbosi).

“D’altra parte, dal punto di vista logico, non sarebbe in alcun modo ragionevole una disciplina contrattuale, come intesa dalla Corte di merito, che escludesse il rilievo delle assenze per infortuni e malattie professionali solo dal computo del comporto per sommatoria e non dal calcolo del comporto secco.

L’errore interpretativo dei giudici di merito sta nell’avere essi considerato l’art. 41 come norma generale destinata a regolare il diritto alla conservazione del posto di lavoro in ogni caso, sia per le assenze dovute a malattia comune e sia per quelle dipendenti dalla nocività dell’ambiente di lavoro, ignorando la portata del primo comma dell’art. 50 che, nel disciplinare le conseguenze degli infortuni e malattie professionali, tratta in termini generali anche del diritto alla conservazione del posto di lavoro, risultando la disciplina dell’istituto distribuita in maniera paritetica sulle due disposizioni”.

3. Conclusioni

In linea generale, l’assenza dovuta ad infortunio sul lavoro si conteggia nel comporto salvo che sussista una responsabilità del datore ex art. 2087 c.c. o che la sua computabilità non vada esclusa sulla base del contratto collettivo applicato.

Ad esempio, il CCNL Autotrasporti, merci e logistica prevede, all’art. 63, let. b), comma 6, che l’assenza per infortunio non vada computata nel periodo di comporto per malattia; ancora, il CCNL Chimici farmaceutici industria, all’art. 31, let. b), comma 6, prevede un’analoga disposizione.

Alla luce del principio ribadito dalla Corte di Cassazione, l’adozione del licenziamento per superamento del comporto richiederà un’attenta analisi della disciplina del CCNL applicato, al fine di verificare eventuali tipologie di assenze non computabili nello stesso e di non incorrere nell’illegittimità del provvedimento.

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