Ha diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro pattuito come part time in rapporto di lavoro full time il dipendente impiegato in maniera non saltuaria ma per fronteggiare esigenze permanenti del datore di lavoro, per un orario di lavoro (mediamente 168 ore al mese) superiore al monte orario previsto per una prestazione a tempo pieno (154 ore mensili).

Questo quanto deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 10746 del 22 aprile 2024.

1. Il caso

La Corte d’Appello di Milano, confermando la pronuncia di primo grado, aveva accertato il diritto del dipendente di una società, alla trasformazione del rapporto da part time a tempo pieno; l’orario di lavoro osservato dal lavoratore (mediamente 168 ore al mese) era stato infatti continuativamente superiore al monte ore previsto per il tempo pieno (154 ore mensili), pertanto tale maggiorazione non era qualificabile come lavoro supplementare o straordinario, considerata la stabilità delle esigenze dell’azienda.

La società proponeva ricorso in cassazione avverso la pronuncia in particolare rilevando che è la stessa norma (art. 6 D.Lgs n. 81/2015) a prevedere espressamente la possibilità, in caso di lavoro a tempo parziale, dello svolgimento di lavoro supplementare o straordinario.

2. La decisione della Corte

La Corte di Cassazione ricorda che sono le concrete modalità di atteggiarsi del rapporto a fornire i parametri necessari per valutare la tipologia contrattuale nonostante l’iniziale scelta contrattuale adottata (non è decisivo dunque il negozio costitutivo del rapporto ma la concreta attuazione dello stesso).

Secondo giurisprudenza consolidata (cfr. Cass., n. 6226/2009, n.3228/2008), nonostante la difforme, iniziale manifestazione di volontà delle parti, un rapporto di lavoro a tempo parziale può trasformarsi in tempo pieno in ragione della continua prestazione del soggetto in un orario di lavoro pari a quello previsto per il lavoro a tempo pieno, non occorrendo alcun requisito formale a tal fine.

Ancora in pronunce più recenti (cfr. Cass., n. 8658/2019, n. 20209/2019) è stato ribadito che la prestazione continuativa di un orario corrispondente al tempo pieno può determinare la trasformazione da un originario rapporto a tempo parziale in tempo pieno per “fatti concludenti”.

Pertanto, la reiterazione della prestazione secondo modalità a tempo pieno può attestare una modifica in fatto della volontà delle parti rispetto all’assetto contrattuale iniziale.

“Si è in tal caso in presenza di una fattispecie di novazione oggettiva in cui l’animus novandi, dunque lo specifico intento negoziale dei contraenti, deve risultare in modo non equivoco, non precludendosi quindi la possibilità di desumerne la presenza attraverso fatti concludenti”.

Nel caso di specie l’osservanza di un orario lavorativo pari o anche superiore a quello previsto per il tempo pieno è idonea a comportare, nonostante la difforme iniziale volontà delle parti, la trasformazione del rapporto in full time “non occorrendo, a tal fine, l’osservanza di alcun requisito formale, ma soltanto la verifica e valutazione di facta concludentia significativi di una comune volontà modificativa”.

Compito del giudice di merito sarà quello di valutare se le concrete modalità del rapporto di lavoro costituiscono i “fatti concludenti” che rendono esplicita la volontà delle parti di modificare l’assetto contrattuale iniziale.

Come correttamente rilevato dalla Corte d’Appello, l’impiego del lavoratore in orario superiore a quello a tempo parziale non era stato saltuario ma continuo per fronteggiare esigenze permanenti e certamente non provvisorie.

3. Conclusioni

La pronuncia in commento riprende un indirizzo ormai consolidato: il concreto svolgersi del rapporto permette di valutare l’effettiva tipologia contrattuale nonostante la difforme scelta iniziale delle parti.

Pertanto, la continuativa prestazione di un orario corrispondente a quello previsto per il lavoro a tempo pieno potrà determinare la trasformazione da un rapporto a tempo parziale ad un tempo pieno per fatti concludenti.

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