La reiterazione dei contratti di somministrazione di lavoro a tempo determinato presso lo stesso utilizzatore è illegittima se ha oltrepassato il limite di durata che possa ragionevolmente considerarsi temporanea.
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 23445 del 1° agosto 2023 ha ribadito quali principi è necessario rispettare in caso di reiterazione di contratti di somministrazione a termine alla luce delle più recenti pronunce della Corte di Giustizia UE.
Il caso vedeva come protagonista una lavoratrice impiegata in forza di tre contratti di somministrazione a termine, senza soluzione di continuità presso lo stesso utilizzatore per un periodo di oltre 4 anni e mezzo.
In primo e secondo grado venivano rigettate le domande dalla lavoratrice volte ad ottenere la conversione del rapporto a tempo indeterminato nei confronti dell’utilizzatore o, in via subordinata, nei confronti dell’agenzia di somministrazione, oltre all’indennità risarcitoria.
Secondo la Corte territoriale i rinnovi contrattuali dovevano considerarsi di fatto delle vere e proprie proroghe dello stesso contratto di lavoro in quanto le missioni erano state tre, come tre erano stati i contratti di somministrazione, anche se non vi erano state interruzioni tra una missione e l’altra.
La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ricorda che il fatto che il D.Lgs n. 81/2015 non contenga alcuna previsione esplicita sulla durata temporanea non impedisce di considerare tale requisito come implicito.
In particolare è compito del giudice di merito stabilire, caso per caso, se la reiterazione delle missioni del lavoratore presso l’utilizzatore abbiano o meno rispettato il requisito della temporaneità, di modo da realizzare una violazione delle norme imperative ai sensi dell’art. 1344 c.c. e degli obblighi e finalità imposti dalla Direttiva n. 2008/104.
Il giudice nazionale in tale compito può avvalersi di alcuni indici rivelatori del ricorso abusivo del contratto di somministrazione a termine (cfr. Cgue, 14 ottobre 2020, C-681/2018, Cgue, 17 marzo 2022, C-232/2020).
Nello specifico è necessario verificare:
- se le missioni successive del medesimo lavoratore presso la stessa impresa utilizzatrice portino a una durata della prestazione presso la stessa impresa “più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come temporaneo”;
- se le missioni successive assegnate al medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice possono eludere le disposizioni della Direttiva n. 2008/104 e costituire un abuso di tale tipologia contrattuale;
Spetta inoltre al giudice nazionale verificare se quanto previsto dalla direttiva comunitaria venga violato nel caso in cui non venga fornita alcuna spiegazione oggettiva al fatto che l’utilizzatore ricorra ad una successione di contratti di lavoro tramite agenzia interinale, a maggior ragione nel caso in cui le varie missioni interessano sempre lo stesso lavoratore.
Nel caso di specie la Corte di Cassazione rileva che le valutazioni compiute dai giudici di merito sono state parziali e non conformi ai principi di diritto ricordati.
Nello specifico pur avendo la Corte territoriale accertato che le missioni corrispondenti ai tre contratti di somministrazione a termine, sempre per la stessa lavoratrice e per le medesime mansioni si erano succedute per un periodo complessivo di oltre quattro anni (superiore al limite di 36 mesi previsto per i contratti a termine), nessuno scrutinio era stato al contrario compiuto circa il requisito della temporaneità.
Spetterà quindi alla Corte di Appello, in sede di rinvio, verificare “se le missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice conducano ad una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quanto possa essere ragionevolmente qualificato come “temporaneo””.
La Corte insiste in diversi punti sulla reiterazione di contratti di somministrazione che coinvolgono lo stesso lavoratore, per le stesse mansioni e lo stesso livello contrattuale presso la medesima impresa utilizzatrice come a voler evidenziare che l’istituto della somministrazione non vincola a mettere a disposizione dell’utilizzatore lo stesso lavoratore e che tale prassi potrebbe di conseguenza essere sintomatica della volontà di eludere i limiti imposti dalle direttive comunitarie.
La pronuncia in commento rischia di avere pesanti riflessi sui rapporti di somministrazione a termine di lunga durata (basti pensare che diversi ccnl prevedono limiti complessivi di durata dei contratti di somministrazione a termine superiori ai 24 mesi previsti dall’art. 19, comma 2 D.Lgs n. 81/2015) che, seppur nel rispetto della normativa nazionale, potrebbero venire messi in discussione in un eventuale giudizio, con il conseguente rischio di incertezza per le aziende.