Il periodo di comporto è quel lasso temporale (la cui durata è disciplinata dai diversi contratti collettivi) nel corso del quale il rapporto di lavoro viene sospeso a causa della malattia del lavoratore e lo stesso non può essere licenziato.

L’art. 2110 c.c. (secondo comma) dispone, infatti, che in caso di malattia “l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dalle norme corporative, dagli usi o secondo equità.”

1. Compatibilità tra malattia e ferie

Tra le questioni più rilevanti in tema vi è quella riguardante la possibilità per il lavoratore di fruire delle ferie maturate e non godute al fine di evitare il superamento del comporto.

Secondo la giurisprudenza maggioritaria (cfr. Cassazione, 14 settembre 2020, n. 19062, Cassazione, 17 aprile 2019, n. 10725) il dipendente in malattia può chiedere al datore di lavoro di fruire di un periodo di ferie in prossimità della scadenza del comporto al fine di evitare il licenziamento.

A tale facoltà non corrisponde, però, un obbligo della parte datoriale di accoglimento della richiesta del dipendente qualora ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa che dovranno essere concrete ed effettive (in mancanza, il recesso è illegittimo e l’onere probatorio è in capo al datore).

In altre parole, il datore di lavoro, cui compete il potere di stabilire la collocazione delle ferie, è tenuto in tali casi a valutare adeguatamente la posizione del dipendente in quanto esposto alla perdita del posto di lavoro.

2. La giurisprudenza sul tema

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 26997 del 21 settembre 2023, si è pronunciata in materia di superamento del comporto.

Nel caso di specie una lavoratrice, prima della scadenza del periodo di conservazione del posto, aveva chiesto all’azienda di fruire di 197 ore di ferie maturate e non ancora godute; nella stessa comunicazione la dipendente manifestava all’azienda la volontà di richiedere, al termine della fruizione delle ferie anche l’aspettativa non retribuita (nel caso di impossibilità di riprendere servizio a causa del persistere dell’inabilità al lavoro).

L’azienda respingeva la richiesta della lavoratrice di fruire delle ferie accettando la richiesta dell’aspettativa non retribuita.

Sia in primo che secondo grado di giudizio il licenziamento veniva ritenuto illegittimo in quanto intimato prima del superamento del periodo di comporto; la Corte di Appello giudicava inoltre sostanzialmente immotivato il diniego delle ferie comunicato dall’azienda alla dipendente.

La Corte di Cassazione ricorda che secondo un indirizzo di legittimità ormai consolidato il lavoratore assente per malattia ha la facoltà di richiedere di fruire delle ferie maturate e non godute al fine di sospendere il decorso del comporto. Tale facoltà non si traduce in un obbligo per la parte datoriale di accoglimento della richiesta ove sussistano ragioni organizzative di natura ostativa, a condizione però che le stesse siano concrete ed effettive.

La Suprema Corte precisa inoltre che, premesso che compete al datore di lavoro stabilire la collocazione delle ferie armonizzando le esigenze dell’azienda con quelle del lavoratore, lo stesso è tenuto “ad una considerazione e ad una valutazione adeguata alla posizione del lavoratore in quanto esposto, appunto, alla perdita del posto di lavoro con la scadenza del comporto”.

Tuttavia tale obbligo non è ragionevolmente configurabile quando “il lavoratore abbia la possibilità di fruire e beneficiare di regolamentazioni legali o contrattuali che gli consentano di evitare la risoluzione del rapporto per superamento del periodo di comporto ed in particolare quando le parti sociali abbiano convenuto e previsto, a tal fine, il collocamento in aspettativa, pur non retribuita”.

Nel caso di specie la Corte di Appello ha tenuto conto di tale indirizzo giurisprudenziale ritenendo sostanzialmente immotivato il diniego dell’azienda alla richiesta della lavoratrice (formulata prima della scadenza del periodo di comporto) di fruire di tali ferie, indipendentemente dalla sussistenza o meno di ragioni organizzative o produttive.

3. Conclusioni

Nella pronuncia in commento la Corte di Cassazione si rifà all’indirizzo giurisprudenziale consolidatosi in tema.

Il lavoratore assente per malattia ha facoltà di richiedere la fruizione delle ferie maturate e non godute al fine di interrompere il decorso del periodo di comporto.

Dall’altro lato non si configura in capo al datore un obbligo di accoglimento di tale richiesta ove ricorrano ragioni organizzative di natura ostativa (effettive e concrete) che quest’ultimo deve essere in grado di dimostrare in un eventuale giudizio.

Graverebbe, dunque, sulla parte datoriale dimostrare di aver tenuto in considerazione, nel valutare la relativa richiesta, della posizione del lavoratore in quanto esposto alla perdita del posto di lavoro.

Ad avviso di chi scrive e in un’ottica di bilanciamento degli interessi contrapposti, la tutela del posto di lavoro riveste un ruolo predominante e a tal fine giustifica nella maggioranza dei casi la richiesta del dipendente di fruire delle ferie allo scopo di sospendere il comporto.

Anche le ferie, seppur non utilizzate secondo la propria classica finalità di consentire il recupero delle energie psicofisiche, possono rappresentare un istituto utile e utilizzabile in tali fattispecie al fine di salvaguardare e tutelare il posto di lavoro.

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