Può accadere che l’addebito contestato al lavoratore nel corso del procedimento disciplinare si fondi su documenti aziendali o atti nell’esclusiva disponibilità del datore di lavoro.

In tali casi ci si domanda se è legittima la richiesta del lavoratore di prendere visione della documentazione in possesso dell’azienda al fine di produrre le proprie giustificazioni.

L’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori non pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di consentire al lavoratore di accedere agli atti del procedimento disciplinare.

Tuttavia un rifiuto opposto a priori alla richiesta del lavoratore potrebbe sia impedire a quest’ultimo di esercitare pienamente il suo diritto di difesa sia condurre alla nullità del procedimento disciplinare e della sanzione irrogata.

La giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione, 6 ottobre 2017, n. 23408, 21 ottobre 2010, n. 21612) nel corso degli anni ha cercato di operare un bilanciamento tra i contrapposti interessi in gioco chiarendo che, nell’ambito del procedimento disciplinare, l’art. 7 della Legge n. 300/1970 non prevede alcun obbligo per il datore di lavoro di mettere a disposizione del dipendente la documentazione aziendale riguardante i fatti oggetto di contestazione.

L’istanza del lavoratore non trova fondamento in una disposizione di legge ma nei principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto di lavoro e deve trovare accoglimento qualora l’esame della documentazione risulti indispensabile per predisporre una difesa dettagliata.

Nella recente sentenza n. 13492 del 17 maggio 2023 la Corte di Cassazione giunge a queste conclusioni.

Nel caso di specie una lavoratrice con mansioni di Operatore di Sala Slot all’esito di due procedimenti disciplinari veniva licenziata per giusta causa per aver sottratto in più occasioni dalle Casse della Casa di Gioco somme di denaro.

In primo grado il Tribunale di Venezia dichiarava l’illegittimità del licenziamento ritenendo che fosse stato violato il diritto di difesa della dipendente nel procedimento disciplinare, in ragione del diniego dell’azienda alla visione dei filmati.

In sede di opposizione lo stesso Tribunale, considerata l’inutilizzabilità delle videoregistrazioni a base del procedimento, disponeva la reintegra della dipendente.

La Corte d’Appello di Venezia, in riforma della pronuncia di primo grado, dichiarava risolto il rapporto tra le parti dal 6 novembre 2018 e il diritto della dipendente a percepire un’indennità risarcitoria pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

Ad avviso della Corte la richiesta di visione dei filmati avanzata dalla lavoratrice nel corso del procedimento disciplinare era legittima al fine di esercitare il proprio diritto di difesa pertanto il licenziamento era illegittimo con riconoscimento della tutela ex art. 18, comma 6 L. n. 300/1970.

La Corte di Cassazione richiama i principi affermati in sede di legittimità secondo cui “nel procedimento disciplinare, sebbene la L. n. 300 del 1970, articolo 7 non preveda un obbligo per il datore di lavoro di mettere spontaneamente a disposizione del lavoratore, nei cui confronti sia stata elevata una contestazione la documentazione su cui essa si basa, egli peròè tenuto, in base ai principi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, ad offrire in consultazione i documenti aziendali all’incolpato che ne faccia richiesta, laddove l’esame degli stessi sia necessario per predisporre una adeguata difesa” (cfr. Cass., n. 6337/2013).

Come specificato dai giudici di secondo grado l’istanza presentata dalla dipendente di accesso alla documentazione (nel caso di specie i filmati) del procedimento disciplinare era necessaria al fine di difendersi, non ricordando la stessa il corretto svolgimento dei fatti, trovandosi in uno stato di confusione e agitazione.

Il diniego alla richiesta avanzata dalla dipendente configurava pertanto una chiara violazione procedurale come correttamente accertato dalla Corte di merito.

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