È legittimo il licenziamento per giusta causa intimato al dipendente per aver svolto attività lavorativa di compravendita di autovetture durante l’assenza per congedo parentale, condotta in contrasto con le finalità di quest’ultimo, che richiede che i tempi e le energie del lavoratore padre siano dedicati a soddisfare i bisogni del figlio.

Non assume alcun rilievo che l’attività lavorativa svolta non impedisse al lavoratore la cura e l’assistenza del minore né tantomeno che tale attività contribuisse ad una migliore organizzazione della famiglia.

Questo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2618 del 4 febbraio 2025.

1. Il fatto

La Corte d’Appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado che aveva ritenuto legittimo il licenziamento irrogato a un lavoratore in congedo parentale per aver svolto in quattro giornate, in seguito ai controlli eseguiti dall’agenzia investigativa, attività lavorativa di compravendita di autovetture (il lavoratore risultava essere amministratore unico di tale società) in contrasto con le finalità dell’assenza.

Lo svolgimento di tale attività, né saltuaria né episodica, si poneva in contrasto con le finalità del congedo parentale, destinato a consentire al padre il soddisfacimento dei bisogni del minore e si configurava quale abuso del diritto.

Il lavoratore ricorreva in Cassazione avverso la pronuncia.

2. Lo svolgimento di altra attività lavorativa durante il congedo parentale

Il congedo parentale, finalizzato a consentire al figlio di godere dell’assistenza materiale ed effettiva dei genitori nei primi anni di vita, è un diritto potestativo rispetto al quale la parte datoriale si trova in posizione di soggezione non potendo rifiutare unilateralmente la fruizione dello stesso né differirla; l’art. 32 del D.Lgs n. 151/2001 non attribuisce, infatti, alcuna rilevanza giuridica alle esigenze produttive ed organizzative dell’azienda.

Proprio in ragione della posizione di soggezione del datore di lavoro e dei costi sociali ed economici connessi alla fruizione del congedo, la condotta del lavoratore che utilizzi tale periodo di aspettativa dal lavoro non per soddisfare i bisogni affettivi del minore ma per svolgere una diversa attività lavorativa “configura un abuso per sviamento dalla funzione del diritto, idoneo ad essere valutato dal giudice ai fini della sussistenza di una giusta causa di licenziamento, non assumendo rilievo che lo svolgimento di tale attività contribuisca ad una migliore organizzazione della famiglia”.

Non vale a scriminare la condotta del dipendente il fatto che la seconda attività professionale non impedisse di curare e assistere il minore, in quanto tale affermata compatibilità doveva allora ritenersi sussistente anche in relazione all’attività svolta per l’azienda, venendo meno la ragione giustificativa dell’istituto.

3. Conclusioni

Il dipendente che, durante l’assenza per congedo parentale, svolge altra attività lavorativa invece che dedicarsi alla cura del figlio, priva ingiustamente il datore di lavoro della sua prestazione lavorativa ledendo l’affidamento di quest’ultimo e realizza una condotta fraudolenta nei confronti dell’INPS in quanto volta al percepimento di una integrazione assistenziale non dovuta.

Abusando del diritto, il lavoratore ottiene un indebito vantaggio da parte dell’azienda e genera un costo per la stessa (durante il congedo parentale vengono maturati i ratei inerenti al rapporto di lavoro in essere), condotta che legittimerebbe una richiesta di risarcimento del danno subito dall’azienda oltre che apposita segnalazione alla sede INPS competente, che potrà agire per il recupero dell’indennità non spettante.

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