Sono discriminatorie le dichiarazioni pubbliche rese dall’amministratrice di una società, che aveva affermato di preferire uomini e donne solo sopra i 40 anni per le posizioni di vertice, ritenendole più stabili dal punto di vista familiare e lavorativo.
Tale comportamento costituisce una forma di discriminazione indiretta multifattoriale e intersezionale lesiva, sia per il contesto nel quale è stato posto in essere, sia in quanto idoneo oggettivamente, per l’estrema diffusione, a dissuadere le lavoratrici dall’accedere o presentare candidature per le posizioni di vertice della società.
Questo il principio affermato dal Tribunale di Busto Arsizio con sentenza del 3 febbraio 2025.
1. Il caso
La vicenda prende le mosse dalle dichiarazioni rese da Elisabetta Franchi, amministratrice della società Betty Blue S.p.A., nel corso di un evento, durante il quale quest’ultima aveva affermato di preferire per le posizioni di vertice della società uomini oppure donne sopra i 40 anni, perché “se dovevano sposarsi, si sono già sposate, se dovevano far figli, li hanno già fatti, se dovevano separarsi hanno fatto anche quello e quindi diciamo che io le prendo che hanno fatto tutti i quattro giri di boa, quindi sono lì belle tranquille con me a mio fianco e lavorano h24”.
Tali dichiarazioni provocavano un grande eco mediatico.
L’associazione per la lotta alle discriminazioni proponeva ricorso al fine di accertare il carattere oggettivamente discriminatorio delle dichiarazioni rese dall’amministratrice della società.
2. Discriminazione collettiva derivante dalle dichiarazioni pubbliche
Il Tribunale riconosce il carattere discriminatorio delle dichiarazioni rese dall’amministratrice della società, che violano i valori fondamentali della Costituzione, in cui il lavoro anche imprenditoriale impone il rispetto dei principi di uguaglianza e solidarietà che non ammettono distinzioni di genere o pregiudizi.
La libertà di manifestazione del pensiero non ha natura di diritto assoluto e non può spingersi sino al punto di violare altri principi costituzionali quali gli artt. 2, 3, 4, 35 e 37, che tutelano la parità di trattamento in materia di occupazione e di lavoro e la realizzazione di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale.
Tale comportamento, prosegue il Tribunale, costituisce “una forma di discriminazione indiretta multifattoriale e intersezionale lesiva, sia per il contesto nel quale è stato posto in essere, sia in quanto idoneo oggettivamente, per l’estrema diffusione, a dissuadere le lavoratrici dall’accedere o presentare candidature per le posizioni di vertice della società”.
L’oggettiva discriminazione per età si sovrappone ad altri fattori di pregiudizio quali quelli per genere, impegni familiari e status in violazione delle previsioni del codice delle pari opportunità e delle politiche di genere.
Inoltre, secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cass., 15 dicembre 2020, n. 28646), le esternazioni di un soggetto che per la sua posizione può incidere nei processi decisionali di un’azienda, sono idonee a determinare una discriminazione, “in considerazione del pregiudizio, anche solo potenziale, che una categoria di soggetti potrebbe subire in termini di svantaggio o di maggiore difficoltà, rispetto ad altri non facenti parte di quella categoria, nel reperire un bene della vita, quale l’occupazione”.
La società veniva condannata al risarcimento del danno in favore della ricorrente, a pubblicare la sentenza su un quotidiano nazionale e ad adottare un piano di formazione aziendale sulle politiche discriminatorie.
3. Conclusioni
La pronuncia in commento rappresenta un momento significativo a livello giuridico sul tema delle discriminazioni di genere, in quanto l’azienda è stata condannata non per una condotta materiale ma per le dichiarazioni pubbliche rese dall’amministratrice.
È preferibile che le aziende comincino a dotarsi di meccanismi specifici volti a prevenire ed eliminare le discriminazioni, misure che dovranno necessariamente coinvolgere le politiche del personale, la comunicazione e la formazione, al fine di farsi promotrici dei principi di uguaglianza e solidarietà sanciti nella Costituzione.