La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 35617 del 20 dicembre 2023, ha stabilito che l’accertamento della responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. non legittima il licenziamento per colpa grave della lavoratrice madre (art. 54 D.Lgs n. 151/2001) che configura un’ipotesi di colpa più qualificata dal punto di vista soggettivo, in ragione delle specifiche condizioni psico-fisiche della dipendente, e richiede situazioni più complesse rispetto a quanto previsto dall’art. 2119 c.c. e dai contratti collettivi.
1. Divieto di licenziamento
L’art. 54 comma 1 del D.Lgs n. 151/2001 prevede che le lavoratrici non possono essere licenziate dall’inizio del periodo di gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino; le stesse tutele si applicano nei confronti del lavoratore padre che ha fruito del congedo di paternità obbligatorio e/o alternativo.
Tra le eccezioni al divieto di licenziamento vi è la colpa grave della lavoratrice.
La Corte di Cassazione in numerose occasioni (cfr. Cass., n. 2004/2017, n. 19912/2011) ha chiarito che la stessa non si identifica con il giustificato motivo soggettivo o la giusta causa ma è una colpa diversa e più grave di quella prevista dai contratti collettivi per i generici casi di inadempimento del dipendente sanzionati con la risoluzione del rapporto.
Ad esempio la Corte di Cassazione ha ritenuto sussistente la colpa grave (Cass., n. 14905/2012) nella condotta di una lavoratrice che non aveva ripreso servizio alla scadenza del periodo di congedo di maternità per oltre 40 giorni.
In un altro caso, riguardante l’assenza ingiustificata per oltre sessanta giorni di una lavoratrice (precedentemente licenziata e successivamente riammessa in servizio) in seguito al trasferimento presso un altro ufficio, la Corte di Cassazione ha accolto le censure della dipendente, rimettendo la questione ai giudici di appello essendosi limitati a verificare la sussistenza di una delle ipotesi previste dal contratto collettivo e non la ricorrenza della colpa grave (Cass., n. 2004/2017).
Con la pronuncia in esame la Corte di Cassazione ha chiarito cosa debba intendersi per “colpa grave” della lavoratrice.
2. I fatti di causa
Nel caso di interesse una lavoratrice, nonché socia della società, veniva licenziata per giusta causa per aver agito giudizialmente nei confronti della società per accertare un suo diritto di credito, poi riconosciuto non dovuto in contrasto, come citato nella lettera di contestazione, con l’art. 4 dell’atto di cessione di quote.
Il Tribunale di Venezia nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo, revocava lo stesso per insussistenza del credito e condannava la lavoratrice ex art. 96 c.pc., comma 3, per avere agito per colpa grave nonostante la manifesta infondatezza della pretesa creditoria.
Impugnato il recesso, il giudice del lavoro dichiarava la nullità del licenziamento in quanto ritorsivo disponendo la reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro.
La Corte di Appello di Venezia, confermando la pronuncia di primo grado, sia pur con diversa motivazione, accertava che
- non sussisteva la ritorsività del licenziamento in quanto la scelta aziendale di procedere disciplinarmente in conseguenza di un comportamento offensivo e dannoso per la stessa società non appariva una reazione ingiusta e arbitraria;
- non era ravvisabile una colpa grave addebitabile alla dipendente ex art. 54 D.Lgs n. 151/2001 avendo la stessa agito in relazione ad un supposto credito di natura extralavorativa senza che fosse stata dimostrata la consapevolezza della sua inesistenza al momento della presentazione del ricorso;
- andava escluso che la colpa grave ravvisata in sede civile ex art. 96 c.pc. coincidesse con quella disciplinata dal Testo unico della maternità, essendo il perimetro di valutazione della condotta in quest’ultimo caso più ampio.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per Cassazione la società.
3. I chiarimenti della Corte
La Corte di Cassazione precisa che l’accertamento della responsabilità ex art. 96 c.pc. discende esclusivamente da atti o comportamenti processuali concernenti il giudizio nel quale la domanda viene proposta (ad esempio ai sensi del comma 1 l’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave o ai sensi del comma 3 di aver abusato dello strumento processuale).
L’applicazione di tale norma richiede quale elemento costitutivo l’accertamento non del dolo o della colpa grave bensì di una condotta oggettivamente valutabile quale “abuso del processo” (aver agito o resistito pretestuosamente).
La colpa grave della lavoratrice madre, che configura una delle eccezioni al divieto di licenziamento di quest’ultima, si identifica con una colpa più qualificata dal punto di vista soggettivo in ragione delle particolari condizioni psico-fisiche nelle quali versa la dipendente e comprende dunque situazioni più complesse rispetto a quelle esemplificate dalla contrattazione collettiva come giusta causa di licenziamento.
Per integrare la colpa grave della lavoratrice madre non è sufficiente accertare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento ma al contrario è necessario verificare, con onere probatorio a carico del datore di lavoro, se sussista quella colpa descritta dall’art. 54 del Testo unico della maternità.
Tale verifica “deve essere eseguita tenendo conto del comportamento complessivo della lavoratrice, in relazione alle sue particolari condizioni psicofisiche legate allo stato di gestazione, le quali possono assumere rilievo ai fini dell’esclusione della gravità del comportamento sanzionato solo in quanto abbiano operato come fattori causali o concausali dello stesso”.
L’accertamento e la valutazione circa la colpa grave è riservato al giudice di merito e in quanto tale non sindacabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e immune da vizi.
Pertanto in base a tali principi l’accertamento della responsabilità ex art. 96 c.p.c in sede civile non può esplicare alcuna influenza sulla colpa grave ex art. 54 D.Lgs n. 151/2001 che risponde a criteri cronologici (non limitati all’ambito processuale), contenutistici e di colpa differenti.
4. Conclusioni
La colpa grave che legittima il licenziamento della lavoratrice madre richiede un ambito di indagine, riservato al giudice di merito, molto più complesso e ampio rispetto all’accertamento della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo trattandosi di fattispecie peculiare e autonoma.
Al fine di integrare tale colpa, infatti, il fatto deve essere talmente grave da giustificare non solo la risoluzione del rapporto ma anche l’esclusione dal divieto di licenziamento previsto dalla norma a tutela della maternità.