Per lavoratori c.d. “caregiver” intendiamo i lavoratori dipendenti, pubblici o privati che prestano assistenza ad una persona con handicap in situazione di gravità che sia coniuge, parente o affine entro il secondo grado, ovvero entro il terzo grado qualora i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i sessantacinque anni oppure siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti.
L’art. 33 comma 5 della Legge n. 104/1992 prevede un doppio ventaglio di tutele nei confronti di tale categoria di lavoratori, nello specifico:
- Il diritto di scegliere, ove possibile, la sede di lavoro più vicina al domicilio della persona da assistere (non ci troviamo di fronte a un diritto assoluto e illimitato ma che al contrario va bilanciato con le esigenze e necessità aziendali, come testimonia l’inciso “ove possibile”);
- Il diritto a non essere trasferito in una sede diversa senza il proprio consenso.
Mediante quest’ultimo la norma limita il potere dispositivo ed organizzativo del datore di lavoro col fine di tutelare il familiare con handicap grave.
Il diritto di scelta della sede di lavoro attribuito al lavoratore caregiver (applicabile non solo all’inizio del rapporto di lavoro, mediante la scelta della sede ove viene svolta la prestazione, ma anche nel corso del rapporto mediante domanda di trasferimento) va bilanciato con le esigenze e necessità aziendali.
Tale diritto può essere fatto valere allorquando il suo esercizio non finisca per ledere in maniera consistente le esigenze economiche, produttive od organizzative dell’impresa (cfr. Cass., n. 3896/2009); il datore di lavoro potrebbe respingere la domanda del dipendente solo dimostrando “la sussistenza di straordinarie esigenze produttive che ostano al suo accoglimento” (cfr. Cass., n. 5900/2016).
La giurisprudenza nel corso degli anni ha avuto un ruolo fondamentale nell’individuare il bilanciamento tra diritto del lavoratore che presta assistenza e le necessità aziendali della parte datoriale, da ultimo con ordinanza n. 26343 del 12 settembre 2023.
1. I chiarimenti della Corte di Cassazione
Nel caso di interesse la Corte di Appello di Roma, confermando la sentenza di primo grado, accertava il diritto di una lavoratrice ad essere trasferita presso un ufficio postale sito nel comune di residenza del padre disabile e convivente, non avendo l’azienda dimostrato l’esistenza di ragioni ostative al trasferimento.
Avvero tale pronuncia la società ricorreva in Cassazione.
In particolare ad avviso della società aveva errato la Corte di Appello nel ritenere irrilevante che la dipendente non fosse in possesso dei requisiti richiesti dall’accordo sulla mobilità sottoscritto tra azienda e parti sociali ma al contrario tali accordi erano obbligatori sia per la società che per la lavoratrice, stabilendo criteri oggettivi per determinare le priorità tra le diverse istanze, in considerazione delle esigenze organizzative dell’azienda.
La Corte di Cassazione ricorda che l’art. 33, comma 5 della L. n. 104/1992 va interpretato in termini costituzionalmente orientati (alla luce dell’art. 3, comma 2 Cost., dell’art. 26 della Carta di Nizza e della Convenzione delle Nazioni del 13.12.2006 sui diritti dei disabili) e come razionalmente inserito in un ampio complesso normativo.
Le posizioni giuridiche soggettive in capo agli interessati, da intendersi quali diritti soggettivi (e non interessi legittimi) richiedono di volta in volta un bilanciamento di interessi, con onere probatorio in capo al datore di lavoro.
Il diritto al trasferimento ex art. 33, comma 5, non si configura come un diritto assoluto ed illimitato (come specificato dall’inciso “ove possibile”) ma “deve essere, comunque, pur sempre compatibile con le “esigenze economiche, produttive o organizzative” del datore di lavoro, esigenze cui tale diritto resta subordinato e con le quali esso deve essere necessariamente coordinato e non è sufficiente la vacanza del posto a cui il lavoratore richiedente, familiare dell’handicappato, aspira. Tale condizione esprime una mera potenzialità, che assurge ad attualità soltanto con la decisione organizzativa di coprire la vacanza”.
Nel caso in esame correttamente la Corte territoriale ha applicato tali principi avendo accertato che la società, che ne era onerata, non aveva dimostrato l’esistenza di ragioni ostative al trasferimento ovvero la sussistenza di una lesione consistente delle esigenze economiche, produttive ed organizzative che in un bilanciamento degli opposti interessi avrebbe impedito il trasferimento della lavoratrice.
2. Conclusioni
Mediante l’art. 33 comma 5 della Legge n. 104/92 il legislatore tutela sia i lavoratori “caregiver”, prevedendo il diritto di scelta della sede di lavoro più prossima a quella di residenza sia i familiari disabili affinché vengano soddisfatte le proprie condizioni di assistenza.
Nell’operare il necessario bilanciamento tra interessi e diritti della parte datoriale e quelli del dipendente, entrambi aventi rilievo costituzionale, occorrerà salvaguardare e valorizzare le esigenze di cura e assistenza del familiare del lavoratore, evitando che le stesse possano venire danneggiate da un ipotetico rifiuto alla richiesta avanzata dal lavoratore caregiver.
La giurisprudenza ammette la possibilità per il datore di lavoro di dimostrare in giudizio l’esistenza di oggettive e comprovate condizioni ostative (ad esempio per la mancanza di posizioni di lavoro disponibili presso la sede scelta dal lavoratore), si tratta tuttavia di un onere probatorio gravoso, del quale le aziende devono essere consapevoli nella gestione di tali casistiche.