La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 18954 del 5 luglio 2023, si è pronunciata circa la persistenza dell’obbligo contributivo in presenza di assenze del lavoratore nei casi di sospensione concordata per accordo non riconducibile alle ipotesi previste dalla legge o dal contratto collettivo (ad esempio per permesso non retribuito).
La Corte di Cassazione ricorda che la retribuzione da assumere come base per determinare il calcolo dei contributi previdenziali non può mai essere inferiore al minimale contributivo (art. 1 D.L. n. 338/1989) vale a dire l’importo della retribuzione che i lavoratori di un determinato settore dovrebbero percepire in applicazione dei contratti collettivi stipulati dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale.
Tale regola è espressione del principio di autonomia previsto dal nostro ordinamento del rapporto contributivo rispetto all’obbligo retributivo e in forza di tale principio i contributi possono essere parametrati ad un importo superiore rispetto a quanto effettivamente corrisposto dal datore di lavoro (cfr. Cass., n. 15120/2019).
Il principio del minimale contributivo concerne anche l’orario di lavoro da prendere a parametro, ovvero l’orario di lavoro normale stabilito dal contratto collettivo (o dal contratto individuale, se superiore), al fine di evitare che una retribuzione rapportata a meno ore rispetto a quelle previste dal normale orario di lavoro possa determinare la violazione del minimale.
Secondo la Corte di Cassazione i datori di lavoro non possono modulare l’obbligazione contributiva in funzione dell’orario o della stessa presenza che abbiano concordato con i lavoratori; l’obbligazione contributiva, predeterminabile e oggettiva, è svincolata dalla retribuzione effettivamente corrisposta pertanto “rimane dovuta nell’intero ammontare previsto dal contratto collettivo anche nei casi di assenza del lavoratore o di sospensione della prestazione lavorativa che costituiscano il risultato di un accordo tra le parti derivante da una libera scelta del datore di lavoro e non da ipotesi previste dalla legge e dal contratto collettivo medesimo, quali malattia, maternità, infortunio, aspettativa, permessi, cassa integrazione”.
La retribuzione dovuta in relazione al sinallagma del rapporto lavorativo risulta rilevante solo se superiore ai minimi previsti dal ccnl, altrimenti non rileva e vale la misura minima determinata dal contratto collettivo.
L’obbligazione contributiva segue dunque proprie regole e può risultare dovuta anche in assenza di alcun obbligo retributivo in capo al datore di lavoro; è stato affermato in giurisprudenza (cfr. Cass., n. 4676/2021) che anche la forza maggiore non imputabile al datore di lavoro non rileva al fine della determinazione dell’obbligo contributivo se non in presenza di una clausola del ccnl che attribuisca alla “forza maggiore” il titolo di causa di sospensione del rapporto di lavoro.
La Corte di Cassazione ritiene che la Corte territoriale si sia adeguata a tali principi; correttamente infatti aveva accertato che, non ricorrendo le ipotesi previste dal contratto collettivo circa le cause di sospensione del rapporto di lavoro sussisteva l’obbligo contributivo oggetto dell’accertamento ispettivo dell’INPS.
La Corte di Cassazione con la pronuncia in esame conferma l’orientamento consolidato (cfr. Cass., n. 16260/2023, Cass., 29413/2022) circa l’applicazione del minimale contributivo e le ipotesi di esonero dall’obbligo da intendersi quali tassative, al fine di garantire le esigenze previdenziali e assistenziali del lavoratore.