L’indennità di vacanza contrattuale (c.d. indennità una tantum), avente la funzione di assicurare un parziale recupero del potere di acquisto del lavoratore rispetto all’aumento del costo della vita con riferimento al periodo di mancato rinnovo del ccnl, non può gravare soltanto sull’ultimo datore di lavoro, ovvero quello che impiegava il dipendente al momento del rinnovo.

Al contrario l’importo deve essere suddiviso proporzionalmente tra le varie aziende presso le quali il dipendente ha lavorato nel periodo di riferimento.

Questo è quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 28186 del 6 ottobre 2023.

Nel caso di specie una società era stata condannata, in solido con la committente, al pagamento di 305,39 euro in favore di un lavoratore a titolo di importo una tantum a copertura della vacanza contrattuale di 44 mesi tra il 1° gennaio 2009 e il 31 agosto 2012.

La Corte d’Appello respingeva l’appello proposto dalla società avverso la sentenza di condanna di primo grado.

Secondo l’azienda appaltatrice la Corte territoriale avrebbe errato per aver posto interamente a suo carico l’intero periodo di vacanza contrattuale di 44 mesi anziché il solo periodo nel quale il lavoratore aveva prestato l’attività alle sue dipendenze (dal 1° agosto 2011 al 31 agosto 2012) nonostante quanto previsto nell’allegato A (dove si prevedeva la corresponsione “ai lavoratori in forza nelle aziende che applicano il CCNL delle Attività Ferroviarie”) e circa l’erogazione dell’elemento “in proporzione ai mesi di servizio prestati nel periodo di riferimento”.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso della società ricorda che l’indennità una tantum“ha la funzione di assicurare un parziale recupero del potere di acquisto del dipendente rispetto all’aumento del costo della vita con riferimento al periodo di mancato rinnovo del contratto collettivo, onde non appare giustificato porre a carico del soggetto, con il quale il rapporto intercorreva al momento del rinnovo, l’intero importo anche per i periodi di attività prestata presso precedenti datori di lavoro, verso i quali alcun obbligo era stabilito dalla previsione collettiva”.

E’ evidente infatti che le parti collettive hanno inteso rispondere ad un esigenza di riproporzionamento laddove hanno previsto che gli importi dovessero essere corrisposti “in proporzione ai mesi di servizio prestati nel periodo di riferimento”.

L’indennità una tantum, in quanto strutturalmente connessa all’effettuazione della prestazione lavorativa andrà erogata pertanto secondo tale meccanismo, in assenza di espressa previsione negoziale che ponga l’obbligo di riconoscere la stessa in capo a chi risulti datore di lavoro al momento della stipula del ccnl.

Le argomentazioni della Corte appaiono più che condivisibili, conformi alla ratio dell’indennità una tantum e a quanto disciplinato dalla previsione collettiva.

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