Tra le questioni sulle quali la giurisprudenza si è pronunciata in molte occasioni e che tuttavia continua ad essere oggetto di forte interesse vi è quella riguardante la gestione del tempo di vestizione da parte dei dipendenti (c.d. tempo tuta), o meglio se lo stesso vada considerato quale orario di lavoro e dunque retribuito.
Non troviamo una disciplina specifica circa la retribuibilità del tempo di vestizione in alcuna norma di legge.
Viene in soccorso l’orientamento ormai consolidatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass., 9 aprile 2019, n. 9871, Cass., 28 marzo 2018, n. 7738) e di merito, recepito dalla prassi amministrativa (cfr. Ministero del Lavoro, Interpello n. 1 del 23 marzo 2020), secondo il quale il tempo necessario ad indossare l’abbigliamento di servizio rientra nell’orario di lavoro ogni qualvolta sussista l’eterodirezione della parte datoriale: quando quest’ultima abbia fornito al lavoratore determinati indumenti, con il vincolo di tenerli e indossarli sul posto di lavoro.
1. La giurisprudenza sul tema
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul tempo tuta con ordinanza n. 25478 del 31 agosto 2023.
Nel caso di specie alcuni lavoratori vedevano rigettate in primo e secondo grado le loro domande volte al riconoscimento del trattamento retributivo per il tempo impiegato per la vestizione e dismissione della divisa giornaliera cui erano obbligatoriamente tenuti.
Secondo la Corte d’Appello non poteva ritenersi che il tempo di vestizione/vestizione fosse disciplinato dal datore di lavoro, considerato quanto previsto dal CCNL e dal regolamento applicato in tema di divisa e oggetti di vestiario.
Avverso tale pronuncia i lavoratori proponevano ricorso in Cassazione.
La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso, ricorda che al fine di valutare se il tempo tuta debba essere o meno retribuito occorre fare riferimento alla relativa disciplina contrattuale, distinguendo il caso in cui tale attività
- sia soggetta al potere di conformazione del datore di lavoro, con riguardo al tempo e al luogo;
- si configuri come diligenza preparatoria all’esecuzione della prestazione e pertanto non dà luogo a retribuzione.
L’eterodirezione può derivare sia dall’esplicita disciplina di impresa che dalla natura degli indumenti o dalla specifica funzione che devono assolvere (quando questi ultimi siano diversi da quelli utilizzati o utilizzabili secondo un criterio di normalità sociale dell’abbigliamento).
La Corte d’Appello ha tenuto conto di tale indirizzo giurisprudenziale consolidato secondo cui “il tempo necessario a indossare l’abbigliamento di servizio (“tempo tuta”) costituisce tempo di lavoro soltanto ove qualificato da eterodirezione, in difetto della quale l’attività di vestizione rientra nella diligenza preparatoria inclusa nell’obbligazione principale del lavoratore e non dà titolo ad autonomo corrispettivo”.
Nel caso specifico né il CCNL (che si limitava tra l’altro a prevedere “è fatto obbligo al dipendente di indossare sia la divisa prescritta che gli oggetti di vestiario. A tal fine le aziende predisporranno idonei supporti logistici”) né il Regolamento (nella parte in cui prescriveva che “la divisa e gli elementi di vestiario vanno indossati correttamente e non devono essere indossati in occasioni diverse dal lavoro”) imponevano espressamente ai lavoratori di vestire la divisa prima dell’inizio della prestazione e di svestire la stessa negli “idonei supporti logistici”.
2. Conclusioni
La giurisprudenza ha risolto la questione circa la retribuibilità delle attività di vestizione e svestizione in funzione dell’assoggettamento delle stesse alle regole dell’impresa, stabilendo che:
- se il lavoratore ha facoltà di scegliere il tempo e il luogo dove indossare la divisa aziendale (ad esempio presso la propria abitazione prima dell’inizio della giornata lavorativa), tale attività rientra tra quelle preparatorie allo svolgimento della prestazione lavorativa e dunque non va retribuita;
- se è la parte datoriale a disciplinare tempo e luogo dell’attività di vestizione (eterodirezione), la stessa è considerata quale orario di lavoro e pertanto andrà retribuita secondo le previsioni del contratto collettivo applicato.