Può accadere che durante un periodo di assenza per malattia regolarmente certificato, il lavoratore venga sorpreso a svolgere attività (sia ricreative che lavorative) tali da ritardare la guarigione.

In tali casi ci si domanda se è possibile per il datore di lavoro procedere al licenziamento del dipendente.

In linea generale a livello ordinamentale non esiste alcun divieto assoluto per il lavoratore di svolgere attività, anche in favore di terzi, durante un periodo di assenza per malattia.

Tale principio vale a condizione che l’attività esercitata, in relazione alla natura e alle caratteristiche dell’infermità e alle mansioni svolte dal lavoratore, non sia di per sé idonea a pregiudicare o ritardare la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore (durante il periodo di assenza per malattia o infortunio permangono infatti in capo al dipendente gli obblighi di diligenza, fedeltà, di correttezza e buona fede).

L’attività svolta dal dipendente potrebbe in determinati casi costituire indice di scarsa attenzione dello stesso alla salvaguardia della propria salute e ai doveri di cura e di non ritardare la propria guarigione e idonea a giustificare l’adozione del licenziamento.

Ad esempio è stato ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa adottato nei confronti di un lavoratore, affetto da lombosciatalgia acuta, per essere stato sorpreso a sollevare e movimentare sacchetti di terriccio, attività idonea a pregiudicare o ritardare il rientro al lavoro (Cass., n. 26709/2021) o ancora del lavoratore assente per malattia a causa di dolori lombari che abbia partecipato ad un concerto restando in piedi per molte ore (Cass., n. 6047/2018).

Secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza (cfr. Cass., n. 14086/2020, n. 10416/2017) lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia può giustificare il recesso del datore di lavoro, oltre nell’ipotesi in cui tale attività sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la stessa, da valutarsi con giudizio ex ante in relazione al tipo di patologia e mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

1. La giurisprudenza sul tema

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 12994 del 12 maggio 2023 è tornata a pronunciarsi circa il licenziamento del lavoratore in malattia.

Nel caso di specie un lavoratore, all’esito del procedimento disciplinare veniva licenziato per giusta causa in conseguenza della simulazione dell’infortunio occorsogli sul luogo di lavoro (che aveva determinato un trauma alla caviglia sinistra) nonché in seguito ad accertamenti investigativi svolti dall’azienda di aver tenuto, durante l’arco temporale di interesse, comportamenti incompatibili con lo stato morboso, atti a ostacolare e comunque ritardare la guarigione (ad esempio guida di auto e scooter, carico e scarico di materiale edile ecc..).

Il Tribunale di primo grado giudicava illegittimo il licenziamento per insussistenza dei fatti contestati, in assenza di prescrizioni mediche che limitassero il lavoratore nei movimenti o negli spostamenti o nelle attività quotidiane.

Diversamente la Corte d’Appello accertava la legittimità del licenziamento in quanto, nel rispetto dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, il lavoratore avrebbe dovuto evitare di compiere qualsiasi comportamento suscettibile di ostacolare e ritardare la guarigione.

La Corte di Cassazione, respingendo il ricorso promosso dal lavoratore, ricorda che lo svolgimento di altra attività lavorativa durante la malattia “configuri violazione degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede, oltre che nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, anche nel caso in cui la stessa, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio”.

La Corte, in materia di onere probatorio, richiamando la pronuncia n. 13063/2022, specifica che gravi sul datore di lavoro la prova della simulazione della malattia ovvero che l’attività svolta sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del lavoratore (l’art. 5 della L. n. 604/1966 pone infatti in capo al datore di lavoro l’onere probatorio circa tutti gli elementi di fatto integranti la fattispecie che giustifica il licenziamento).

La Corte di Cassazione giudicava congrui gli accertamenti svolti dalla Corte d’Appello e corretta l’applicazione da parte di quest’ultima dei principi di diritto richiamati.

2. Conclusioni

Il datore di lavoro ha piena facoltà di prendere conoscenza di comportamenti del dipendente che, pur estranei allo svolgimento dell’attività lavorativa, rilevano sotto il profilo del corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro.

Il datore di lavoro potrebbe inoltre avvalersi di agenzie investigative al fine di accertare comportamenti extralavorativi attinenti al corretto adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto di lavoro.

Le disposizioni dell’art. 5 della L. n. 300/1970 non precludono infatti al datore di lavoro di procedere, al di fuori delle verifiche di tipo sanitario, ad accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare l’insussistenza della malattia o la non idoneità di quest’ultima a determinare uno stato d’incapacità lavorativa e, quindi, a giustificare l’assenza del dipendente.

Ad esempio è stato ritenuto legittimo il controllo eseguito dal datore di lavoro a mezzo di investigatori privati nel caso di un dipendente, assente per una dichiarata patologia di lombosciatalgia acuta (accertata dal medico dell’INPS), sorpreso a eseguire lavori sul tetto e nel cortile della propria abitazione (Cass., n. 18507/2016).

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