Il vincolo fiduciario alla base del rapporto di lavoro può essere leso non solo da inadempimenti contrattuali ma anche da condotte extralavorative, che non attengono direttamente l’esecuzione della prestazione ma siano di gravità tale da ledere gli interessi morali e materiali del datore di lavoro e l’immagine aziendale.
Il lavoratore, infatti, non è solo tenuto a fornire la prestazione lavorativa prevista da contratto ma anche a non porre in essere condotte tali da compromettere il rapporto fiduciario.
La Corte di Cassazione in numerose occasioni si è pronunciata sul tema (cfr. Cass., n. 4804/2019, n. 428/2019, 21958/2018), da ultimo con ordinanza n. 22077 del 24 luglio 2023.
Nel caso in esame, un dipendente all’esito di un procedimento disciplinare veniva licenziato per giusta causa in seguito a una denuncia per maltrattamenti, ingiurie e lesioni personali sporta dalla sua convivente.
Dal procedimento penale a carico del lavoratore erano emersi plurimi e abituali atteggiamenti oltraggiosi, prevaricatori e violenti nei confronti della stessa.
La Corte d’Appello di Roma, riformando la pronuncia di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento, sostenendo che:
- una condotta extralavorativa può assumere rilievo disciplinare quando lesiva degli interessi morali e/o materiali del datore di lavoro oppure tale da compromettere il rapporto fiduciario;
- al fine di accertare la legittimità del licenziamento è necessario accertare se i fatti contestati (anche se caratterizzati da gravità tali da ledere in astratto il vincolo fiduciario), abbiano in concreto assunto una specifica rilevanza disciplinare, tenendo in considerazione le mansioni svolte dal lavoratore e il contesto aziendale;
- nella contestazione disciplinare la società faceva espresso riferimento al timore che il dipendente potesse tenere comportamenti minacciosi e violenti nel luogo di lavoro, ipotesi rimasta priva di alcun riscontro oggettivo.
La Corte di Cassazione ricorda che anche le condotte extralavorative possono integrare la giusta causa del licenziamento, a condizione di avere un riflesso anche solo potenziale ma oggettivo sulla funzionalità del rapporto, tale da compromettere l’aspettativa del datore di lavoro circa il futuro puntuale adempimento dell’obbligazione lavorativa, in relazione alle mansioni e all’attività svolta dal dipendente licenziato.
Correttamente la Corte territoriale ha applicato tale principio, avendo accertato che le condotte tenute dal lavoratore ai danni della convivente non avevano avuto alcuna incidenza sull’ambiente lavorativo e sul rapporto di lavoro, considerando la mancanza di qualsiasi eco mediatica, il carattere meramente esecutivo delle mansioni alle quali era adibito il lavoratore e la pluridecennale anzianità lavorativa presso la stessa azienda durante la quale non era stato mai riscontrato alcun episodio di violenza.
In definitiva la condotta del lavoratore, seppur deprecabile, non era in grado di influire sul rapporto di lavoro neppure in via indiretta, né sul piano del clamore mediatico.