Tra i principi fondamentali alla base del procedimento disciplinare vi è il principio di tempestività (o immediatezza); in virtù di tale principio, il datore che intende contestare una condotta illegittima realizzata dal lavoratore deve farlo senza ritardo, nel più breve periodo di tempo possibile.
Non deve intercorrere dunque un intervallo di tempo troppo lungo tra la commissione del fatto da parte del lavoratore e l’avvio del procedimento disciplinare.
Il decorso di un periodo considerevole rispetto alla commissione del fatto da parte del lavoratore potrebbe, infatti, ledere il diritto di difesa di quest’ultimo o quantomeno renderne più difficoltosa la realizzazione.
Il dipendente si troverebbe, infatti, nella situazione di dover ricostruire la dinamica dei fatti in oggetto e di fornire eventualmente una diversa ricostruzione degli stessi con evidenti difficoltà.
Tanto più la contestazione viene effettuata a ridosso dei fatti tanto più efficacemente il dipendente incolpato potrà difendersi in ordine agli stessi.
Un altro elemento da tenere in considerazione è collegato al principio dell’affidamento del lavoratore; il decorso di un periodo di tempo lungo rispetto alla condotta contestata potrebbe legittimamente indurre nel lavoratore la convinzione che la parte datoriale abbia tacitamente deciso di rinunciare all’esercizio del potere disciplinare.
Secondo giurisprudenza ormai consolidata (cfr. Tribunale di Bologna, 23 gennaio 2020, Cass., 15 giugno 2015, n. 12337) la tempestività della contestazione va intesa in senso relativo, potendo anche essere compatibile con un intervallo di tempo più o meno lungo in relazione alle diverse casistiche.
La tempestività nell’apertura del procedimento disciplinare va valutata in relazione al momento in cui il datore di lavoro ha avuto effettiva conoscenza del fatto e non a quello in cui lo stesso è stato commesso.
Non si può dunque ritenere violato il principio di tempestività sulla base del solo decorso di un intervallo temporale (anche piuttosto lungo) tra l’illecito commesso e la contestazione disciplinare.
Il datore di lavoro deve fornire la prova del momento in cui ha avuto piena conoscenza dei fatti oggetto di addebito e non anche delle circostanze per le quali non abbia potuto effettuare la contestazione a ridosso dei fatti (cfr. Cass., 3 gennaio 2017, n. 50).
Rimane comunque riservata al giudice di merito la valutazione delle circostanze di fatto che in concreto giustificano il ritardo (cfr. Cass., S.U., 27 dicembre 2017, n. 30985) e la valutazione compiuta è insindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici.
1. La Corte di Cassazione sul principio di tempestività
Con la sentenza n. 18070 del 23 giugno 2023 la Corte di Cassazione ha precisato che il principio di tempestività della contestazione disciplinare, da intendersi come relativo, correlato al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, è elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro ma è esterno alla condotta disciplinarmente rilevante posta in essere dal lavoratore, che potrebbe essere punita con il licenziamento.
Di conseguenza, “l’inosservanza di un tempo ragionevole per intraprendere il procedimento disciplinare” non può essere ricondotto all’interno del concetto di insussistenza (che rende applicabile la tutela reintegratoria), che comprende le ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto che, seppur sussistente sia tuttavia privo del carattere di illiceità.
2. Il caso affrontato e i principi di diritto applicati
Nel caso di specie un dipendente di un istituto bancario veniva licenziato all’esito di un procedimento disciplinare per aver consapevolmente disatteso le procedure aziendali per le operazioni eseguite.
La Corte di Appello, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava l’illegittimità del licenziamento disciplinare irrogato, avendo accertato l’intempestività della contestazione dell’addebito, intervenuta a distanza di tempo dalla data in cui il fatto era stato pienamente accertato.
La Corte di Cassazione, richiamando giurisprudenza consolidata sul tema, ricorda che il principio di immediatezza della contestazione, avente la funzione di garantire il diritto di difesa del dipendente, non consente all’imprenditore di procrastinare l’esercizio del procedimento disciplinare di modo da rendere difficile la difesa del lavoratore e perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto.
Tale principio è da intendersi come relativo, correlato “al caso concreto e alla complessità dell’organizzazione del datore di lavoro, procedendo ad un adeguato accertamento e una precisa valutazione dei fatti e da valutare con riferimento al tempo in cui i fatti sono conosciuti dal datore di lavoro, e non a quello in cui essi sono avvenuti.
La conoscenza deve tradursi nella ragionevole configurabilità dei fatti oggetto dell’inadempimento, inteso nelle sue caratteristiche oggettive, nella sua gravità e nella sua addebitabilità al lavoratore”.
Nel caso in esame la Corte territoriale ha accertato che il datore di lavoro aveva raggiunto una piena consapevolezza dei fatti da contestare al dipendente dal mese di maggio 2016, avendo tuttavia aperto il procedimento solo a dicembre 2016.
La Corte di Cassazione chiarisce inoltre che l’immediatezza della contestazione è elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro ma è esterno alla condotta disciplinarmente rilevante posta in essere dal lavoratore, che potrebbe essere punita con il licenziamento.
Di conseguenza, “l’inosservanza di un tempo ragionevole per intraprendere il procedimento disciplinare” non può essere ricondotto all’interno del concetto di insussistenza (che rende applicabile la tutela reintegratoria), che comprende le ipotesi di assenza ontologica del fatto e quella di fatto che, seppur sussistente sia tuttavia privo del carattere di illiceità.
Secondo la Suprema Corte nel caso in esame, in cui il fatto è stato accertato ma la contestazione disciplinare è stata effettuata con notevole e ingiustificato ritardo, trova applicazione la tutela indennitaria ex art. 18, comma 5.