La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 17643 del 20 giugno 2023, ha stabilito che il datore di lavoro è tenuto al pagamento dell’indennità finanziaria sostitutiva delle ferie non godute dal dipendente se non abbia invitato quest’ultimo a godere delle ferie, se necessario formalmente, avvisandolo che, nel caso di mancata fruizione del periodo di riposo, sarebbe incorso nella perdita dello stesso al termine del periodo di riferimento.
Nel caso di specie una dipendente dell’Inps adiva il Tribunale di Milano chiedendo la condanna della P.A. a corrisponderle circa 30.000 euro a titolo di indennità sostitutiva per ferie non godute.
Il Tribunale dichiarava il diritto della dipendente alla monetizzazione delle ferie non godute per 124 giorni; la Corte d’Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, riconosceva il diritto a percepire l’indennità sostitutiva delle ferie per 248 giorni.
L’Inps proponeva ricorso sostenendo la prescrizione del diritto e il mancato godimento delle ferie per esigenze di servizio previste dal CCNL applicato.
La Corte di Cassazione richiama la normativa e la giurisprudenza comunitaria in tema di ferie, nello specifico:
- l’art. 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/88 assoggetta il diritto all’indennità per ferie non godute a due condizioni, da un lato la cessazione del rapporto e dall’altro il mancato godimento da parte del dipendente di tutte le ferie annuali cui aveva diritto alla data di cessazione del rapporto;
- l’estinzione del diritto del lavoratore alle ferie annuali retribuite o alla monetizzazione delle stesse alla cessazione del rapporto, senza che l’interessato abbia avuto la possibilità di esercitare tale diritto, finisce per arrecare un pregiudizio allo stesso;
- l’art. 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88 non osta a una normativa nazionale che comprenda anche la perdita del diritto alle ferie annuali retribuite allo scadere del periodo di riferimento, purché il dipendente abbia effettivamente avuto la possibilità di esercizio del diritto.
Secondo la Corte di Cassazione il lavoratore deve essere considerato quale parte debole del rapporto di lavoro; da ciò consegue “che il datore di lavoro è tenuto, in considerazione del carattere imperativo del diritto alle ferie annuali retribuite e al fine di assicurare l’effetto utile dell’articolo 7 della direttiva 2003/88, ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato”.
L’onere probatorio è a capo del datore di lavoro che deve dimostrare di avere esercitato tutta la diligenza necessaria al fine di mettere effettivamente in condizione il lavoratore di godere delle ferie annuali; nel caso di specie la Corte territoriale aveva accertato che il datore di lavoro non era stato in grado di adempiere a tale onere probatorio.
Di conseguenza, considerato che il dipendente non aveva perso il diritto al godimento delle ferie, quest’ultimo doveva percepire l’indennità sostitutiva al momento della cessazione del rapporto, non potendo la prescrizione decorrere anteriormente alla cessazione del rapporto.
Nel respingere anche il secondo motivo di ricorso, con cui l’Istituto sosteneva la mancata fruizione delle ferie per esigenze di servizio previste dal CCNL applicato, la Suprema Corte ricorda che l’art. 10 del D.Lgs n. 66/2003 prevede che “i contratti collettivi di lavoro possono stabilire condizioni di miglior favore”.
Pertanto, la contrattazione collettiva non può essere letta in maniera da introdurre un trattamento deteriore per il dipendente.