1. Sintesi

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 1581 del 19 gennaio 2023, ha cassato con rinvio la sentenza della Corte di appello di Brescia, la quale aveva riconosciuto in favore di un dirigente del settore bancario la somma di euro 74.247,74 a titolo di integrazione dell’indennità sostitutiva del preavviso, nonché euro 13.376,13 a titolo di integrazione del TFR.

La Corte di Cassazione, aggiungendo importanti precisazioni a precedenti orientamenti sul tema, ha ribadito attraverso la pronuncia in commento il presupposto dell’efficacia obbligatoria del preavviso e dell’esclusione dell’indennità sostitutiva dello stesso dalla base di calcolo del TFR.

  1. La fattispecie

La fattispecie muove dal licenziamento per ragioni oggettive intimato ad un dirigente del settore bancario, il cui ruolo di responsabile commerciale presso una società controllata del gruppo ove il medesimo era distaccato è stato soppresso.

Il dirigente impugnava il licenziamento chiedendo, oltre all’accertamento dell’illegittimità dello stesso e alla relativa indennità supplementare, la condanna del datore di lavoro a corrispondere delle somme a titolo di trattamento di malattia, nonché a titolo di integrazione dell’indennità sostitutiva del preavviso e del TFR.

Il Tribunale di Bergamo accoglieva le domande del dirigente; la Corte di appello di Brescia, invece, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava la legittimità del licenziamento e respingeva le richieste di pagamento relative al trattamento di malattia, escludendo che fosse stata offerta la prova che la sindrome ansioso depressiva avesse comportato una inabilità assoluta al lavoro.

  1. La decisione della Corte

Secondo uno dei motivi di gravame formulati dalla banca l’indennità sostitutiva del preavviso non rientrava nel computo del TFR, atteso che la stessa è un emolumento di tipo eccezionale e non un trattamento economico di carattere continuativo.

La Corte di Cassazione ha ritenuto di accogliere il motivo di gravame citato, sulla scorta del quale l’indennità sostitutiva del preavviso non costituisce un elemento che concorre alla formazione del TFR.

Ad avviso della Corte, infatti, l’indennità sostitutiva del preavviso non può essere inclusa nella base di calcolo del TFR poiché essa non è dipendente dal rapporto di lavoro essendo, invece, riferibile ad un periodo non lavorato.

A tale proposito, la Corte ribadisce il principio secondo il quale la natura obbligatoria del preavviso comporta la risoluzione immediata del rapporto, con l’unico obbligo del recedente di corrispondere la relativa indennità sostitutiva e senza che da tale momento possano avere influenza eventuali avvenimenti sopravvenuti, a meno che la parte recedente acconsenta, manifestando un interesse a tale fine, alla continuazione del rapporto di lavoro, protraendone l’efficacia sino al termine del periodo di preavviso.

Secondo la pronuncia in esame deve escludersi, altresì, che il periodo di mancato preavviso rientri nel computo delle mensilità aggiuntive e delle ferie in quanto, essendo mancato l’effettivo servizio, il lavoratore ha diritto solamente all’indennità sostitutiva, ma non all’incidenza della stessa nel calcolo dei citati istituti. Questo sul presupposto che l’efficacia del preavviso di licenziamento è obbligatoria e non reale, e dunque qualora una delle parti receda con effetto immediato il rapporto si risolve e residua l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva (Cass. civ., n. 21216/2009; Cass. civ. n. 17248/2015).

  1. Conclusioni

Per tali ragioni la Corte di Cassazione ha ritenuto di rigettare il ricorso proposto dal dirigente e, in accoglimento del secondo motivo di gravame proposto dalla banca, ha deciso di escludere l’indennità sostitutiva del preavviso dal computo del TFR.

Sotto altro profilo, le censure del dirigente di illegittimità del licenziamento, nonché le sue pretese incentrate sulla sospensione del preavviso per insorgenza della malattia, sono state rigettate dalla Corte di Cassazione per i seguenti motivi:

  • la soppressione della posizione lavorativa del dirigere era effettiva;
  • nel rapporto dirigenziale non è previsto l’obbligo di repêchage;
  • l’apprezzamento espresso dal giudice di merito sui certificati medici prodotti in giudizio costituisce una valutazione di fatto non ricompresa tra le competenze della Corte.

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