- Sintesi
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 32680 del 7 novembre 2022, ha confermato la sentenza della Corte di appello di Brescia che aveva dichiarato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un dirigente al quale era stato contestato, tra l’altro, di aver modificato a proprio vantaggio un patto di stabilità introducendo, con il consenso tacito di un amministratore delegato sprovvisto dei necessari poteri, delle previsioni oltremodo gravose per il datore di lavoro.
- La fattispecie
Un dirigente – responsabile delle risorse umane – ha impugnato innanzi al Tribunale di Bergamo il licenziamento per giusta causa al medesimo intimato in data 10 luglio 2014.
Il Tribunale di Bergamo accoglieva parzialmente il ricorso del dirigente ritenendo il licenziamento privo di giusta causa ma supportato da giustificatezza, condannando così la società a corrispondere al dirigente la sola indennità sostitutiva del preavviso.
La Corte di appello di Brescia ravvisava, invece, nella condotta del dirigente una giusta causa di recesso e, pertanto, condannava il medesimo a restituire alla società ciò che aveva percepito in esecuzione della sentenza di primo grado.
Il giudice di appello, infatti, riteneva che il licenziamento non fosse affetto da vizi procedurali in quanto era stato assicurato a difesa del dirigente il termine di cinque giorni per le giustificazioni. Peraltro, il medesimo giudice riteneva che l’aver sollevato il responsabile delle risorse umane dall’incarico costituiva una sospensione cautelare e non un’anticipazione di licenziamento. Infine, venivano respinte le censure di genericità della contestazione disciplinare avendo il dirigente approntato una difesa puntale e mirata.
Dopo aver valutato il materiale probatorio, la Corte di appello di Brescia stabiliva che il patto di stabilità:
- era stato intenzionalmente retrodatato alla data di assunzione del dirigente;
- era sbilanciato a favore del dirigente e conteneva previsioni in aperto conflitto con gli interessi aziendali;
- conteneva condizioni diverse da quelle riportate nel modello inviato al dirigente dai legali della società;
- era stato contrattato dal dirigente con l’allora amministratore delegato sprovvisto di poteri, senza che della questione fosse stato interessato il consiglio di amministrazione della società.
Su questi presupposti, in ragione del ruolo apicale rivestito dal dirigente caratterizzato da un elemento fiduciario particolarmente spiccato ed intenso, che risultava irrimediabilmente compromesso a seguito delle condotte volontariamente attuate dal dirigente stesso, la Corte di appello considerava il licenziamento sorretto da giusta causa.
- Motivazioni a fondamento della legittimità del licenziamento per giusta causa
Uno dei motivi di gravame faceva riferimento al fatto che attraverso la contestazione disciplinare al dirigente si imputavano, altresì, svariate omissioni ritenute destituite di fondamento dal giudice di primo grado che, per ciò solo, aveva escluso la giusta causa di licenziamento.
Tale punto, ad avviso del ricorrente, non era stato esaminato dal giudice di appello, il quale aveva ritenuto assorbito lo stesso dalla contestazione relativa all’artificiosa elaborazione del patto di stabilità.
Secondo la Corte di Cassazione in caso di contestazione di diversi episodi disciplinarmente rilevanti ciascuno di essi – singolarmente considerato – costituisce base idonea per supportare la giusta causa di licenziamento; grava, invece, sul lavoratore l’onere di dimostrare che soltanto complessivamente considerati gli episodi, per la loro gravità, sono tali da non consentire neppure provvisoriamente la continuazione del rapporto di lavoro.
Ad avviso della Corte di legittimità, il giudice di appello aveva accertato che una delle condotte contestate – i.e. l’aver concorso all’artificiosa predisposizione di un patto di stabilità a proprio vantaggio ed in conflitto con gli interessi datoriali– fosse sufficientemente grave da giustificare il recesso per giusta causa.
Inoltre, ad avviso della Corte di legittimità, nessun rilievo aveva la circostanza che il parallelo procedimento penale per truffa ai danni della società si fosse concluso con l’assoluzione del dirigente; infatti, ai fini del licenziamento disciplinare per fatto astrattamente costituente reato, non rileva la valutazione penalistica del fatto né la sua punibilità in sede penale. Occorre effettuare una valutazione autonoma in ordine alla idoneità del fatto ad integrare gli estremi della giusta causa o giustificato motivo di recesso.
A tale proposito, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo cui il giudice civile non è vincolato dal giudicato penale ed è abilitato a procedere autonomamente alla valutazione del materiale probatorio acquisito al processo, nel caso di mancata partecipazione al giudizio penale del datore di lavoro, che pure era in condizione di farlo. L’art. 654 c.p.p. – richiamato nella sentenza in commento – esclude che possa avere efficacia in un successivo giudizio civile la sentenza penale (di condanna o di assoluzione) con riferimento ai soggetti che non abbiano partecipato al giudizio penale, indipendentemente dalle ragioni di tale mancata partecipazione.
- Conclusione
Secondo la Corte di legittimità, dunque, la sentenza impugnata aveva motivato il proprio accertamento circa la gravità dei fatti addotti a sostegno della giusta causa di licenziamento e ritenuto la sanzione comminata come proporzionata rispetto alla gravità dei fatti.