È illegittimo il licenziamento intimato alla lavoratrice, assente per infortunio sul lavoro (trauma contusivo alla spalla), per aver svolto ad avviso della società attività idonee a ritardare il rientro in servizio, se all’epoca dei pedinamenti eseguiti dall’agenzia investigativa i medici non avevano fornito alcuna prescrizione limitativa dei suoi movimenti.

È irrilevante la circostanza che, solo in un momento successivo, i medici avessero prescritto alla dipendente alcune limitazioni nei movimenti.

Questo quanto deciso dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 28255 del 4 novembre 2024.

1. La vicenda

Una lavoratrice assente per infortunio sul lavoro per trauma contusivo alla spalla destra veniva licenziata per giusta causa, in seguito agli accertamenti compiuti dall’agenzia investigativa, per aver svolto in 7 giornate attività incompatibili con il suo stato di salute (tra quelle contestate, guidare una vettura con il cambio automatico, portare una borsa sulla spalla destra, utilizzare il cellulare con entrambe le mani, sorreggere un ombrello, consumare la colazione utilizzando indifferentemente entrambe le braccia e mani per mangiare).

La Corte d’Appello di Roma, in riforma della pronuncia di primo grado, annullava il licenziamento condannando la società alla reintegra della dipendente.

I giudici rilevavano che dall’istruttoria espletata, anche attraverso la CTU, era emerso che le uniche attività extralavorative provate nelle indagini investigative non avevano svolto alcun ruolo decisivo e non erano compatibili con un eventuale aggravamento della patologia della spalla destra, né di entità tale da determinare la lesione della cuffia dei rotatori.

2. Lo svolgimento di altra attività durante l’assenza per infortunio o malattia

La Corte di Cassazione ricorda che lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente durante la malattia o l’infortunio, può configurare la violazione degli specifici obblighi di diligenza e fedeltà, nonché dei doveri generali di correttezza e buona fede:

  • nell’ipotesi in cui tale attività esterna sia, di per sé, sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia;
  • nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

L’accertamento in ordine alla sussistenza o meno dell’inadempienza idonea a legittimare il licenziamento (consistente nella simulazione della malattia, ovvero l’idoneità dell’attività a pregiudicare il recupero delle energie psico-fisiche) si risolve in un giudizio di fatto demandato al giudice di merito.

Sarà onere del datore di lavoro provare la simulazione della malattia o dell’infortunio, ovvero che l’attività svolta sia idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente.

Nel caso di specie, la Corte territoriale aveva escluso la simulazione in considerazione della documentazione medica del Pronto Soccorso e delle verifiche svolte dall’INAIL; ha ritenuto, tuttavia, che all’esito della visita del 02/07/2018 (prima degli accertamenti svolti dall’agenzia investigativa) l’INAIL non aveva prescritto alla lavoratrice alcuna terapia o l’applicazione del tutore e aveva richiesto accertamenti radiologici ed esame elettromiografico.

Prima dei pedinamenti non vi era stata alcuna prescrizione limitativa dei movimenti che poteva compiere la dipendente; solo successivamente venne prescritto alla lavoratrice di evitare movimenti costituiti da attività ripetitive con le mani sopra la testa e i gomiti lontani dal corpo, evitando sforzi in elevazione e abduzione.

Pertanto, i giudici di secondo grado avevano accertato che le condotte contestate erano in linea con le prescrizioni terapeutiche del momento e non avevano contribuito a pregiudicare o ritardare la guarigione della dipendente (come accertato a mezzo di consulenza tecnica medico-legale).

3. Conclusioni

La Corte di Cassazione (Ordinanza n. 30722 del 29 novembre 2024) è intervenuta nuovamente sul tema dello svolgimento di altra attività durante la malattia giudicando come illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente che durante l’assenza per malattia (per ansia) era stato visto cantare in un piano bar, in quanto comportamento non incompatibile con la condizione del lavoratore che, anzi, poteva giovare alla sua guarigione.

Il datore di lavoro che voglia contestare che l’attività svolta dal dipendente nei giorni di assenza sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio si trova esposto a procedure lunghe e molto costose (basti pensare all’eventuale accertamento demandato ad agenzie investigative) con il rischio concreto, a causa del gravoso onere probatorio da fornire in giudizio, di risultare poi soccombente.

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